mercoledì 9 febbraio 2011

La perdita del potere di acquisto

2003: entra in vigore la legge Biagi, ad adeguare la disciplina del lavoro in Italia alle nuove esigenze del mercato e della produzione capitalistica: flessibilità del lavoro era la parola che riempiva la bocca di governo e Confindustria, precarietà fu la parola d'ordine.
Quando la legge Biagi entra nel merito lo fa solo in termini peggiorativi: i contratti a progetto sostituiscono i vecchi co.co.co.; il lavoro interinale (introdotto con la legge Treu del 1997) diventa lavoro somministrato e contemporaneamente viene abolita la legge n. 1369/60; viene rivista la disciplina del contratto di formazione e lavoro, che diventa contratto di inserimento, e dell'apprendistato, che si triplica per adattarsi a diverse tipologie di sfruttamento, dalla manodopera più qualificata a quella destinata a lavori di basso profilo professionale (e davvero sfrontato è qualificarlo come professionalizzante); nascono nuove figure (lavoro accessorio, a chiamata, staff leasing) per dare agio alle imprese di scegliere la forma di sfruttamento della manodopera più consona alle proprie esclusive esigenze.
Anche il part time, intuitivamente finalizzato a consentire al lavoratore una maggiore conciliazione tra tempo libero e tempo lavoro, diventa strumento di mera dilatazione del tempo lavoro, attraverso la previsione di clausole flessibili – che comportano cambi della collocazione oraria del part time - e di clausole elastiche – che consentono una modifica, in aumento o in difetto, dell'originaria durata del part time.
Tanto il governo Prodi quanto poi l'ultimo governo Berlusconi hanno messo mano alla disciplina del precariato, ma per quanto differenti siano gli interventi, il disegno complessivo non muta.
Tutto questo corpo di norme non ha affatto raggiunto gli obiettivi di aumento della competitività e dell'occupazione che si era prefissati.
Insomma, la difesa dei profitti e la crisi del sistema capitalista rendono conto di un diritto del lavoro sempre più emergenziale, dove le regole saltano, i salari si abbassano, aumentano i licenziamenti spesso camuffati in esternalizzazioni, cambi di appalto e delocalizzazioni della produzione.
Ma con la crisi che avanza e la perdita del potere di acquisto, i lavoratori hanno dato vita a un nuovo ciclo di lotte.
A parte le modalità di protesta, va sicuramente salutata con favore una tendenza che è emersa in maniera chiara: precari e lavoratori stabili, lavoratori stranieri e italiani, dipendenti di ditte esterne (spesso cooperative) e dell'azienda committente, hanno creato fronti di lotte unitarie, sfondando il muro della divisione che molti dei provvedimenti sopra esaminati avevano reso possibile e dimostrando che la solidarietà e l'unione paga. La lotta del collettivo dei lavoratori dell'Ikea, nato soprattutto fra lavoratori dipendenti delle ditte appaltate che con perseveranza ha cercato di creare una piattaforma trasversale e comune a tutti i lavoratori, ne è un importante esempio.
Auspicabile è perciò che le lotte operaie proseguano in questa direzione.

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